#2- I libri no, io non li compro più!

giovedì 28 aprile 2011 4 commenti
Io c'è una cosa che faccio quasi sempre quando esco di casa, mi dimentico di prendere il libro che sto leggendo. E poi c'è un'altra cosa che faccio molto spesso, e è una conseguenza, quando arrivo in stazione, ché in Garibaldi c'è questa Feltrinelli Express che è aperta dalle 7, ci entro e compro un libro, così almeno al ritorno ce l'ho. E così capita molto spesso che mi ritrovo a leggere delle cacate pazzesche e poi mi chiedo ma perché l'ho presa questa cacata, son scema?
Non l'ho letta la quarta di copertina? Oppure succede che mi sembra di non aver niente da leggere e allora via, su Amazon ci son gli sconti, prendiamo tutto. Però lì di solito mi informo prima, è difficile che mi arrivi qualcosa di veramente brutto. Oh, insomma, la faccio breve. L'altro giorno pensavo, devo smettere di comprare libri, è poco ecologico, ne ho veramente troppi, non so già più dove metterli e son solo sei mesi che sto qui, tra due anni cosa succede? E tra dieci? E sono andata avanti così per un po'. Però, ho pensato, non voglio mica smettere di leggere. Va bene che ci son le biblioteche e però se poi mi voglio rileggere una cosa che mi è piaciuta e il libro l'ho restituito? Come si fa? E il mio senso del possesso? Come si fa? C'è il bookcrossing, però non è che si trovino queste perle della letteratura. Stamattina in un impeto  mi sono iscritta qui, però nel catalogo italiano ci sono delle cacate, ma delle cacate che neanche alla stazione di Garibaldi. Poi insomma, ve la faccio breve, ho pensato che ci son gli ebook. Non occupano spazio, costano meno delle edizioni cartacee, sono ecologici. Certo, vuoi mettere il profumo della carta, la sensazione tattile dello sfogliare le pagine, non ci son paragoni. Però ci sono anche i classici gratis, poi potrei portarmi in borsa una biblioteca intera e non pentirmi troppo se ho comprato una cacata, tanto ne ho altre 999 da leggere. E insomma, ci ho pensato un po' su. Che se uno due anni fa mi avesse detto che mi sarei comprata un lettore ebook gli avrei detto ma sei scemo?
E infatti non me lo sono comprato: me lo prestano i signori di Simplicissimus per un anno, per supportarmi nel progetto delle 52 cose e perché son gentili. A me i signori di Simplicissimus, li seguo da un po', stan simpatici anche se fanno gli ebook, perché secondo me ci mettono la stessa cura che se li facessero di carta, i libri. E devo dire che a parte il fatto che è rosa, il mio lettore ebook mi sta simpatico anche lui. La prima cosa che mi son presa, era gratis, è l'Orlando Furioso, che l'inizio lo so a memoria e è di un bello, come poche altre cose, e mi son messa a leggerlo sul treno, sul mio lettore ebook rosa e dopo un po' mi sono dimenticata che non leggevo un libro di carta, ma un libro digitale su un lettore rosa e mi son detta guarda un po', non è mica male, tutti questi preconcetti e invece vedi? È comodo sul treno, è piccolo, è leggerissimo, posso voltare le pagine senza staccare la mano dall'apposito sostegno. Poi mi son comprata i due libri delle edizioni Sugaman, quello con i discorsi del Nori e il romanzo sul cappotto, non quello di Gogol, un altro,  di
Adrián N. Bravi e mi son piaciuti tutti e due, insomma, va a finire che così compro più libri, ma mica li posso perdere tutti insieme i vizi. 

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Pastiera - Enhanced version

venerdì 22 aprile 2011 1 commenti
A grande richiesta, la ricetta della pastiera veganissima è questa qui:


per la frolla 

60 g di tofu
 la scorza di mezzo limone grattugiato
un pizzico di sale
100 g di zucchero
160 g di farina
100 g farina di riso
30 g farina di mandorle
100 g di olio leggero

per il ripieno
80 g tofu
100 ml latte
una scatola grano cotto
100 g zucchero
80 g frutta secca (io ho usato fichi e albicocche)
la scorza di mezzo limone grattugiato
acqua di fiori d'arancio (un quarto circa della confezione)

1 cucchiaino di agar-agar (facoltativo, se non ce l'avete secondo me potete tranquillamente mettete due cucchiaini di maizena e non se ne accorge nessuno

Allora, per prima cosa si prepara la pasta frolla con l'olio.
Il procedimento che ho seguito ricalca in buona parte il suo, se non che in proporzione c'è un po' meno olio e ho omesso le uova.
Per prima cosa, quindi, si prepara una specie di maionese con il tofu. Il procedimento serve per rendere la consistenza dell'olio simile a quella del burro. Per le spiegazioni vi rimando al link sopra che spiega tutto molto meglio di quanto potrei fare io.
Nel boccale del frullatore a immersione versate il tofu e l'acqua e iniziate a montare. A questo punto si inizia a versare l'olio a filo, MOLTO lentamente perché altrimenti impazzisce, proprio come una maionese vera. Quando il composto inizia a diventare sodo e assume l'aspetto di una maionese allora è pronta, lo potete mettere in frigorifero e lasciarcelo fino al momento di usarlo. Nel frattempo frullate le mandorle e riducetele in polvere, setacciate le due farine, aggiungete le mandorle, lo zucchero la scorza grattugiata di un limone (facoltativo ma consigliato) e il pizzico di sale. A questo punto versate sul composto la maionese ben fredda e iniziate a intridere la farina. Lavorate velocemente, il composto non deve scaldarsi troppo. Quando la consistenza è briciolosa prendete una spatola (o un grosso coltello da verdure, nel mio caso) e iniziate a compattare il tutto, sollevando e schiacciando dall'esterno verso l'interno. Eventualmente aggiungete un paio di cucchiai d'acqua, ma non troppa. Formate una palla, schiacciatela senza impastarla, ché altrimenti si scalda, prendetela a mattarellate fino a ottenere un disco piatto. Ora potete usare il mattarello per la sua funzione canonica, che sarebbe quella di stendere la pasta a 5 mm di spessore (io qui l'ho fatto mettendo l'impasto tra due fogli di carta forno). A questo punto potete mettere il tutto in una tortiera di 25/26 cm di diametro rivestita di carta forno (se avete fatto come me ovviamente riciclerete quella che avete appena usato). Ritagliate gli eccessi, raccoglieteli in una palletta, tirate nuovamente una sfoglia (vi servirà per le strisce) e mettete tutto in frigorifero. Scaldate il forno a 180°. Nel frattempo prendete il grano cotto e fatelo cuocere per un quarto d'ora circa con il latte di soia e l'acqua di fiori d'arancio. A parte mischiate molto bene il tofu con la futta secca tagliata a dadini, lo zucchero, la scorza di limone un cucchiaio di maizena. Quando il grano è pronto aggiungete un cucchiaino di agar agar, mischiate molto bene e amalgamate il tutto al composto di tofu e frutta secca. A questo punto il forno sarà ben caldo e potete metterci la base della pastiera per non più di 10 minuti. Bucherellatela, mi raccomando, o vi ritrovate una bolla di pasta frolla. Eventualmente, se li avete, mettete sul fondo dei fagioli secchi. Io non li avevo.
Passati i 10 minuti versate il grano nella tortiera, rivestite con delle strisce di frolla e infornate per una quarantina di minuti.
La tradizione vuole (l'ho scoperto qualche giorno, io mica l'avevo mai mangiata la pastiera) che la pastiera si mangi dopo tre giorni. Noi ovviamente abbiamo assaggiato la precedente versione e ci è piaciuta anche dopo 12 ore.

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#1 – dacci oggi il nostro (mon)bento quotidiano

giovedì 21 aprile 2011 3 commenti
Quando ho deciso di aprire questo blog c'è stata una cosa che mi sono ripromessa da fare, e è la prima delle 52 cose e arriva in anticipo di qualche giorno, ché tanto delle date simboliche non è che ci freghi qualcosa per davvero. Dunque, la prima delle 52 cose è dedicare del tempo a preparare la schiscetta quotidiana. Non è che io sia una di quelle che esce in pausa pranzo tutti i giorni, anzi, però tra una cosa e l'altra sono settimane che non mi preparo un pasto da ufficio decente. Una delle scuse motivazioni più quotate (dopo "non ho tempo") è "non ho il contenitore giusto". I tupperware li ho, ma sono troppo piccoli o troppo grandi, da portare in giro sono scomodi, e così mi sono detta: mi servirebbe un bento, perché io mica rinuncio a essere cool. Ne avevo già un paio presi in Giappone, ma vogliamo parlare delle dimensioni ridicole dei bento giapponesi? E così ho iniziato a informarmi in rete e l'ho trovato. L'oggetto del desiderio si chiama monbento.
Minimale e compatto, proprio come lo volevo io. Però prima di comprarne 10.739 (come in effetti vorrei fare) ho indossato la mia miglior faccia di bronzo, ho scritto una mail ai signori monbento, ho spiegato il mio progetto, ho chiesto se erano interessati e se potevo testare il prodotto. Poche ore dopo mi ha risposto Arnaud, è stato gentilissimo e, forse contagiato dal mio entusiasmo, ha fatto un piccolo strappo alla regola. Così ieri entro in casa e trovo LUI (no, non è entrato da solo, l'ha portato il postino). 


l'amore
È stato subito amore.
Le dimensioni per cominciare. Le dimensioni, signore mie, sono esattamente quelle giuste: non è troppo grande, non è troppo piccolo, è perfetto per gli spostamenti e preciso preciso nella borsina frigo che porto in ufficio. Ha l'aria resistente e la superficie ha questa texture gommosina che a me piace tanto, e infatti continuo a fargli le moine. Poi se voglio riempirlo tantissimo c'è l'elastico che lo tiene chiuso contro la sua volontà. Cioè, voglio dire: è proprio bello e io ne voglio ancora, e ancora e ancora!
Cosa ci ho messo dentro oggi?


l'amore VERO

Al piano di sopra patate americane al forno, al piano di sotto riso basmati cotto à la japonaise e delle polpettine che ho fatto così:

ingredienti per UNA persona
60 g di farina di ceci
100 g di silk tofu
pangrattato qb (io lo aromatizzo con il rosmarino)
15 g di fiocchi di patate bio
spezie varie (aglio in polvere, zenzero, peperoncino tritato, senape in grani)
brodo caldo (pochissimo ma molto concentrato) o anche acqua calda, però in questo caso bisogna aggiungere un po' di sale

Il procedimento è a prova di scemo: si mischiano gli ingredienti secchi, si aggiunge il tofu e si impasta brevemente, poi si aggiunge il brodo pochissimo alla volta, fino ad avere la consistenza... dell'impasto per le polpette. Le ho cotte in pochissimo olio e via. Sono venute undici polpettine piccole, le altre cinque le ho mangiate ieri e una l'ho data ad Astianatte. Il tofu è fondamentale perché funziona da legante, infatti io lo uso nelle torte al posto delle uova e finalmente non mi si sbriciolano più.

Ora son curiosa di sapere cosa c'è nel vostro bento!

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il licoli, il fratello buono della pasta madre

mercoledì 20 aprile 2011 2 commenti
Da quando mi sono trasferita e vivo con Astianatte il pane l'ho comprato solo una volta, quando imbiancavamo. E prima lo facevo con il lievito di birra e poi è arrivata la pasta madre. La pasta madre io l'ho fatta nascere che saranno sei mesi ormai, e quando ho visto le prime bolle nell'impasto di acqua farina miele mi son sentita come se avessi messo al mondo una figliola.
Subito, passata una settimana, l'ho usata per fare i grissini, che non si dovrebbe fare, perché il lievito madre si sa che ci mette un paio di mesi a ingranare e a fare le cose per bene. E però i grissini eran venuti proprio buoni, ero ottimista. Dopo un po' l'ottimismo mi è passato, perché il pane, quando lo facevo con il lievito madre, si spatasciava tutto in giro e se non lo costringevo io mi venivano fuori delle focacce, non quei bei pani belli gonfi che si vedono nelle foto degli altri. E poi via, lo ammetto: sapeva di acido. Che un po' passi, però a volte mi veniva una roba proprio immangiabile. E poi un giorno leggevo questo blog e si parlava di lievito madre, sì, però liquido. E da quello che ho letto in giro pareva che questo lievito liquido fosse una specie di fratello gemello dell'altro, ma più bello, intelligente e buono. Mi son detta no, non lo faccio, figurati se mi metto in ballo con questo, che ho già l'altro che è impegnativo. No, non lo faccio, poi mi si riempie il frigorifero di barattoli e Astianatte mi manda via di casa. No, non lo faccio, la mia pasta madre non la tradirò MAI. E infatti la scorsa settimana l'ho buttata, perché da un mese al suo posto c'è il lievito madre in coltura liquida, che gli amici più simpa chiamano licoli. Cosa fa questo licoli? Fa tutto quello che faceva la mamma acida, però lo fa prima, meglio e camminando all'indietro.
Per la genesi ho seguito fedelmente le istruzioni di izn e siccome lavoro e i rinfreschi andavano fatti ogni otto ore ha collaborato Astianatte. Alla fine del procedimento mi sono ritrovata con circa 300 g di licoli ruspante e pronto per panificare.
Ora quando voglio fare il pane, solitamente domenica, faccio così.
Il sabato sera rinfresco.
Come si fa a rinfrescare? Anche in questo caso il Licoli si rivela più versatile e meno esigente della pasta madre solida (che non ha neanche un nickname, lo vedete che è poco amichevole?). Si prende la quantità che si vuole, si scioglie in una ciotola con pari peso di acqua e si aggiunge pari peso di farina, si sbatte bene con le fruste o la forchetta o il cucchiaio, l'importante è che incameriate molta aria. Per capire se l'avere fatto bene dovrete vedere qualche bolla sulla superficie.
Quindi, il sabato sera, dicevo, prendo circa 30 g di licoli dal ciotolone, lo sciolgo in 30 g di acqua, aggiungo 30 g di farina. Lo lascio in forno con la luce accesa tutta la notte, la mattina lo prendo, se tutto è andato bene è bello spumoso e lo rinfresco di nuovo con pari peso di acqua e farina. (fanno 90 grammi, no?). Lascio fermentare qualche ora, a questo punto ne bastano 4, sempre con la lucetta accesa e nel forno chiuso e a quel punto sono pronta: prendo 200 g di licoli (il resto lo uso per fare una pizza, oppure lo ributto nel calderone insieme a quello che non ho rinfrescato) lo sciolgo in 160 g di acqua, aggiungo un cucchiaio di malto, 400 g di farina, 4 cucchiai di olio (facoltativi) e, se voglio che resti morbidissimo, una patata schiacciata e un cucchiaio di latte. Impasto una decina di minuti, lascio riposare una mezz'ora e aggiungo il sale. Impasto altri 5 minuti e via, in forno, sempre con la lucetta accesa, a lievitare per 4 ore. Per tre volte, ogni 50 minuti, gli do un giro di pieghe. L'ultima volta faccio qualche taglio e aspetto che il signorino sia ben lievitato. Vuol dire che quando premo il dito l'impasto risale molto lentamente.
Scaldo il forno a 250° con un pentolino d'acqua, inforno, dopo una decina di minuti abbasso a 200° e tolgo il pentolino, e dopo 10 minuti a 180°. Dopo mezz'ora tolgo la teglia e metto il pagnottone direttamente sulla griglia, così si cuoce bene anche sotto. È cotto quando busso sul fondo e suona vuoto.
Un pane così in casa mia, siamo solo io e Astianatte, dura una settimana. Gli ultimi giorni inizia a essere duretto, ma lo tosto e è ancora buono.
E il licoli che non ho rinfrescato? Può rimanere in frigorifero anche un mese (forse perfino di più), anche se io solitamente ogni 20 giorni do una rinfrescata generale.

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come ti veganizzo la pastiera

martedì 19 aprile 2011 2 commenti
Io non ho mica mai festeggiato la pasqua, lo scrivo anche minuscolo così, con noncuranza. Fino a 2 anni fa era un'ottima occasione per mangiare l'agnello, poi da un paio d'anni la carne non la mangio più, dopo che ho letto un articolo: diceva che la carne è complessa da digerire e quella che non viene digerita rimane lì a decomporsi nelle anse intestinali e ci vuol poco a capire che non è una cosa che ci fa bene al corpo, avere degli organismi che ci si decompongono. E allora ho smesso, mangio il pesce sì, la carne no. E poi come conseguenza c'è che faccio molta più attenzione a tutto quello che cucino, tipo che le uova le uso pochissimo, il burro pure, molte ricette poi le veganizzo perché così son più facili da assimilare e meno nocive. Questa cosa ha attirato la curiosità della mia nonna, che continua a pensare che il pollo e il salame non siano carne e me li offre con tale innocenza che sarei quasi tentata di accettarli, non fosse che poi muoio.
Questa pasqua però la passo forse con Astianatte e la sua famiglia, e è la prima volta e ci saranno i suoi parenti, insomma, è una specie di occasione formale, anche se non proprio formalissima, e io vorrei fare come dolce la pastiera, però vegana, perché già è una bomba calorica, poi la ricetta originale prevede tipo MILLE uova. 
E allora ieri sono andata a comprare tutti gli ingredienti e ho fatto una prova a casa, prima, perché non voglio arrivar là e poi la pastiera è una merda immangiabile. È venuta così.




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il nemico è alla porta

lunedì 18 aprile 2011 0 commenti
Sono a letto, le 6.15, la sveglia è già suonata, però la punto sempre un po' prima, così resto sotto al piumone, mi abituo a esser sveglia, mi costruisco tutta la giornata.

Cinque minuti mi servono per decidere come mi vestirò, dopo penso a cosa prepararmi per pranzo,  dopo faccio un elenco delle priorità in ufficio, dopo mi alzo e son già stanca, tornerei a letto.
Mezz'ora fa ho chiamato a casa, il mio compagno, che per comodità chiamaremo Astianatte, stava rovesciando la pummarola fresca di frigo direttamente sulla pasta.
Perché è un tipo semplice, Astianatte, che passa con disinvoltura dalle scatolette di tonno al naturale alle scatolette di tonno con fantasie di verdure, dal pesto UNES al ragu pronto STAR, dalla pizza al tozzo di formaggio muffito trovato casualmente in frigorifero. Gli ho detto, guarda che un giorno torno a casa e ti trovo morto, nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore torno e ti sei trasformato in Jabba the Hutt.
Ogni tanto sono ottimista e spero che impari per osmosi. Se ogni giorno mi vede affettare, tritare, impastare, infornare, spadellare, impiattare qualcosa imparerà pure, no? No. E allora una delle 52 cose è insegnare a cucinare ad Astianatte, così poi magari mi torna anche utile.


E niente, io stamattina alle 6.30 pensavo tutte queste cose e mi son detta, magari ci scrivo un post. Però siccome sono scema è venuto un post bruttino.
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housework rules!

venerdì 15 aprile 2011 1 commenti

No, vi spiego: non so bene da dove iniziare. La mia idea era quella di inaugurare il blog con le pulizie di Pasqua eco-friendly eco-chic. Ma un dubbio mi attanaglia: cosa ne me faccio dei prodotti da rozzo bifolco che ho comprato qualche mese fa?
È più ecologico usarli (ci sono e da qualche parte in un modo o nell'altro devono finire, nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma, anche la candeggina) o dimenticarmeli e munirmi di quei quattro o cinque ingredienti commestibili, superecologici, a detta di tutti miracolosi? Sì, perché per pulire la casa non servono i prodotti chimici che inquinano e fanno male alle candide manine di noi pulzelle. Due o tre prodotti, olio di gomito e via. Le avrete viste le casalinghe anni 50: vitini da vespa, sorrisi smaglianti, e sotto i golfini color pastello due bicipiti così. Roba che potevano sollevare un frigorifero con un mignolo.
Tra l'altro, se posso già iniziare a distribuire consigli non richiesti, l'aceto. Mio dio, l'aceto. Non sapete che meraviglioso portento avete in casa. L'aceto pulisce, disinfetta, non lascia aloni, sgrassa, elimina il calcare, lucida. Io ho iniziato a usarlo in lavatrice dopo aver scoperto che l'effetto ammorbidente dell'ammorbidente è superficiale. La dura realtà è che esso –l'ammorbidente– crea una pellicola che si appiccica alle fibre e con il passare del tempo le indurisce. Se non l'avete capito, questo è l'esatto contrario di quello che dovrebbe fare. Al contrario il prodigioso aceto ha un'azione molto più profonda e addolcente. Mettetene 4/5 cucchiai nella vaschetta e vi passa la paura. Non lascia odore, non inquina e – miracolo!– funziona. Davvero. Dovete solo lasciargli il tempo di fare il suo mestiere come si deve e dopo qualche lavaggio, quando tutti i residui di ammorbidente saranno scomparsi, noterete la differenza.
Il problema, come dicevo, meglio, i problemi sono quel litro di candeggina usato solo una volta, la confezione di detersivo per i pavimenti giallo bile, l'anticalcare, quella specie di bomba a mano che distrugge le mucose. Buttarli no, lo spreco non è elegante. Che faccio, li regalo alla zia? Alla nonna? Alla mamma? O li finisco? Tra l'altro vista la frequenza con la quale io lavo i pavimenti un litro di detergente potrebbe durarmi fino al prossimo trasloco.
Poi mi è venuta un'idea (un'altra, sono praticamente una fucina): dedicare i miei sforzi di desperate houswife ecologista a una stanza a settimana.
Nel frattempo mi sono procurata per la modica cifra di 30 euro una macchina per cucire anni '70 perfettamente funzionante. E no, non so cucire. Non ancora. Da qualche parte bisogna pur cominciare, no?

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chi sono

giovedì 14 aprile 2011 1 commenti
Lo spunto me l'hanno dato lei, la donna che per un anno vivrà nel modo più sostenibile possibile, e lui, l'uomo che ci insegna che ci si può liberare di tutte (o quasi, via, mica siam monaci) le cose superflue e – ehi! – vivere meglio.


Investita dal vortice del riciclo creativo, ho preso le loro idee, le ho copiate rielaborate e ho pensato che sì, perché no, proviamoci. Sai mai che divento famosa e mi invitano alle feste cool.
E così ecco cosa succede qui. Una volta alla settimana, per un anno, mi libererò di un oggetto inutile, cambierò un'abitudine, farò qualcosa di concreto per migliorare la mia vita, pesare meno sull'ambiente, cambiare la percezione che ho di me. Vi sembra poco? Sono le 52 cose che cambierò di me in un anno, a cominciare dal 25 aprile (sarà mica una data simbolica?). Sul mio taccuino ne ho già annotate 15, ma mica ve le dico ora, ché altrimenti vi rovino al sorpresa.

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